Fra Ragù, Crocché, Agglasso e Gattò: Queste alcune fra le tantissime ricette portate dai Monsù francesi nella Sicilia dell’800

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I Monsù e la cucina francese rappresentano lo status symbol dell’aristocrazia meridionale nell’Ottocento

L’arrivo della figura francese del Monsù rivoluziona la cucina del Regno delle due Sicilie, creando nuovi piatti e cambiando lo stile di vita dell’aristocrazia meridionale.

Si racconta che Maria Carolina d’Austria, sorella di Maria Antonietta, quando sposò Ferdinando I di Borbone, insistette con forza affinché la sorella le inviasse i suoi amati e raffinati cuochi francesi nelle “Due Sicilie”. Tra le nobili famiglie del Sud Italia divenne dunque consuetudine la presenza in cucina di una nuova figura professionale: il Monsù (a Napoli e dintorni si chiamava Monzù).

Il nome deriva dal francese “monsieur” le Chef. Allo stesso modo Gnuri, parola che sta ad indicare i cocchieri, viene da “seigneur” sebbene con una sfumatura di significato differente.

I Monsù che arrivarono in Sicilia durante il periodo borbonico siciliano, erano degli chef di corte di origine francese che venivano assunti dalle famiglie nobili siciliane. Questi cuochi erano considerati dei veri e propri artisti nella cucina, perché erano in grado di creare piatti molto elaborati e raffinati, utilizzando ingredienti preziosi, spezie e ricette particolari che seguivano i dettami della cucina francese.

I Monsù, specialmente a Palermo, divennero presto un simbolo di status sociale, sinonimo di lusso e di alta società.

Questi venivano chiamati talvolta con il nome di battesimo ed il cognome della famiglia presso cui prestavano servizio, altre volte con nomignoli suggestivi. Sono stati loro a consolidare, fra Settecento e Ottocento, la grande cucina baronale.

Ne “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa c’è la fantastica espressione: “pran pron” di Monsù Gaston, che annuncia l’arrivo in tavola del celebre timballo di maccheroni in crosta servito a Donnafugata.

Maccheroni in crosta alla Gattopardo - Palermo Felicissima
Maccheroni in crosta alla Gattopardo

Da quel momento la cucina italiana in genere, e quella siciliana in particolare, furono influenzate dalle tecniche e dalle ricette degli chef francesi, dando vita ad un vero e proprio sincretismo culinario tra la tradizione siciliana, napoletana e francese.

Ma i Monsù andarono oltre, riuscendo a rendere eccezionali i piatti più semplici, tanto da renderli parte integrante della cucina popolare siciliana, come per esempio le Crocchè (Les Croquettes) di patate, ottenute friggendo un impasto di patate, oppure l’Agglasso o Aggrasso (La Glace) ottenuto ricoprendo la carne con glassa di cipolle.

Con i Monsù in cucina, arte che segue le mode, messe da parte le ascendenze arabe fino ad allora dominanti (agrodolce e spezie in quantità), sulla tavola dei Monsù troneggiano gateaux (in Sicilia diventa gattò), agglassato (in dialetto: aggrassato, un ottimo spezzatino) e soprattutto sua maestà la salsa. Sono proprio i Monzù ad inventare la salsa di pomodoro.

La salsa, declinata in preparazioni diverse ma onnipresente nella maggior parte dei piatti: mayonnaise, roux, bechamel sono solo alcuni esempi.

Nascono sformati in crosta, la ricetta del Ragù (Ragout), paste infornate come lo Sciabbò (jabot) a base di lasagne ricce, e il famosissimo Sartù (“sor tout”, letteralmente: “copri tutto”)  che, sebbene Napoletanissimo è diffuso nella cucina siciliana come Timballo.

Dalla creatività di un Monsù in Sicilia, per l’esigenza di utilizzare prodotti locali, nasce una salsa, parente stretta della bechamel (o besciamella, come viene tradotta) ma molto più leggera e delicata, estremamente versatile perché in pratica sostituisce l’uso della panna senza sovrapporsi al gusto dei piatti: è ‘a lattata, il cui nome fa riferimento al latte di mandorla (bevanda siciliana per eccellenza) perché appunto di mandorle è fatta.

Alcune curiosità:

  • La Francia ha una lunga tradizione culinaria: è qui che è stato realizzato il primo ricettario della storia, il manoscritto Le Viandier, redatto nel 1380 e poi tradotto in quasi tutte le lingue del mondo
  • Molti atti notarili riguardanti la vendita di palazzi nobiliari riportano l’indicazione Quarto del Monzù, riferita a un appartamento da destinare al signore della cucina, a dimostrazione della importanza assunta da questa figura.
  • L’inventore della besciamella è François Pierre de La Varenne, capostipite di quei cuochi-maestri di casa dai quali nascerà la grande cucina dell’Ottocento
  • Johann Wolfgang Goethe, nel 1787 scrive sul suo Diario : «Non v’è stagione in cui non ci si veda circondati d’ogni parte da generi commestibili; il napoletano non solo ama mangiare, ma esige pure che la merce in vendita sia bellamente presentata.»
Monsù - Palermo Felicissima
Monsù – Palermo Felicissima

Marcello Troisi

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