I due Marcelli, le Periferie Culturali e “Gira, Foto e furrìa” con Salvo Gravano, di Marcello Mussolin
Nell’ambito di “Gira, Foto e Furria”, la mostra (o meglio, le mostre) fotografiche organizzate dall’insesauribile Salvo Gravano, vero animatore culturale della nostra città, i vostri due Marcelli hanno avuto il piacere – finalmente dopo mesi di chiusure dovute alla pandemia – di esporre le proprie opere ad un attentissimo pubblico che ha decretato un bel successo di questa, come delle altre sezioni della mostra.
Abbiamo incontrato Salvo Gravano e ne è scaturito un bel dialogo che, modestamente, proviamo qui a sintetizzare:
Salvo Gravano:
ho un personale piacere nel trovarmi qua, in questo bellissimo giardino gestito da Nadia e Lucia, che conosco non da moltissimo tempo, ma è come se ci conoscessimo da una vita proprio perché si riesce a integrare ciò che si immagina per il futuro e ciò che si che si pensa per il presente e questo io lo ritengo una cosa importante sulla quale mi sono soffermato in questi ultimi anni.
Dopo alcuni accadimenti, mi sono reso conto che è importante che ognuno di noi compia uno sforzo affinché si costruiscano e si costituiscano delle reti di comunicazione per crescere tutti insieme, perché quando si è da soli, ognuno con le proprie caratteristiche e le proprie peculiarità, è veramente difficile, complicato.
Io ho avuto la fortuna di poter mettere a disposizione per questo progetto quella che è la mia passione per la fotografia e, basandomi su quella che è stata l’esperienza pregressa dell’anno scorso e di qualche altra mia esperienza di esposizione fotografica, abbiamo ideato questa questa rassegna fotografica, il cui titolo è “gira foto e furria”
Titolo che vuole essere una mezza citazione proprio perché vuole dare l’idea che la fotografia non è una cosa avulsa, o irraggiungibile per chiunque.
Mi capita – infatti – di fare dei corsi di composizione fotografica ed il primo input che do ai ragazzi a cui faccio questi corsi è questo:
l’immagine è in assoluto l’attività culturale per eccellenza, perché è una attività assolutamente trasversale proprio perché per leggere una fotografia non bisogna conoscere una lingua, basta avere soltanto un pensiero.
Ognuno può infatti leggere l’immagine e – anzi – se c’è differenza di lettura più è ampio il confronto che si può creare.
Ci siamo un poco abituati, ci stiamo un po’ abituando a quelle che sono delle fossilizzazioni delle idee che sono sempre quelli degli stereotipi e forse far circolare più confronto sarebbe sicuramente meglio.
Ed allora dal fatto di dare a questa idea il senso di movimento del pensiero, nasce proprio il “gira e furria” del titolo e l’invito a muoversi attraverso le fotografie serve a coinvolgere le persone ed a far girare anche pensieri, riflessioni, idee confronti, di cui, nel nostro mondo, ce veramente bisogno.
In quest’ottica, ho voluto coinvolgere non fotografi che fanno questo mestiere ma dare la possibilità a chi fa questo anche solo per passione o magari per qualcosa di più di una semplice passione, ma forse non ha acquisito la dovuta visibilità, di raccontare delle storie e raccontarle in questa maniera, cioè non fini a se stesse ma strettamente connesse alla logica del posto in cui ci troviamo.
La mostra si articola in più “momenti”: dopo Giovanni Franco con le sue foto sulla Città Congelata, è stata la volta di Igor Petix con “Vivi Pagliaccio”, per poi concludersi, dopo altri interventi con la mia opera sul Respiro della Terra. Chiusa la bocca, chiusa la parentesi, torniamo ad assaporare il diritto a respirare e il mio sarà un respiro di terra.
La mia mostra che quest’anno è legata – e molto fortemente – ad un Festival organizzato da un’associazione nazionale Itaca, che è un’associazione che si occupa di turismo responsabile e sostenibile che dove si cerca di coinvolgere le persone nel raccontare quello che si può fare in maniera sostenibile a livello di turismo consapevole.
Ma parliamo di Marcello Mussolin e Marcello Troisi.
Marcello e Marcello hanno una loro visibilità attraverso Palermo Felicissima, però a loro è stata data la possibilità di avere visibilità anche nei confronti di target completamente diversi rispetto a quelli che sono i target classici di chi fa questo tipo di fotografia, un po’ troppo genericamente indicata come “street”.
Le loro “Periferie Culturali” (*) ci raccontano di diversivi, di diversità… ci sono i colori del mercato, c’è il bianco, il nero di un viso. C’è una tecnica di colorazione specifica? Forse, ma le foto sono quasi tutte “istantanee” di momenti vissuti. Insomma, una serie di “flash” che con la tecnica dell’immagine che i due “Marcelli” padroneggiano, cercano di raccontare qualche cosa.
Non sono riuscito mai a dargli una connotazione unica. Mi sono avvalso della facoltà di curatore per la scelta, quindi mia è la “colpa” di aver escluso o di aver incluso delle fotografie che rappresentano non solo il centro storico, ma ciò che il centro storico produce, nel bene e nel male.
E c’è un po’ tutto: sembra di percepire la confusione, ma il nostro centro storico é confusione, perché non si è mai riuscito a dargli, forse nel bene e nel male, una propria identità.
Forse questo è il bello, ma è anche ciò che ha limitato la possibilità di sviluppo all’interno del centro storico.
Periferie Culturali
(testo di Marcello Troisi)
Palermo è una delle poche città in cui la periferia si trova al centro, anzi proprio nel Centro Storico.
Le “periferie” in realtà sono tante, ciascuna nel suo vecchio quartiere. Basta girare l’angolo e fare quattro passi per trovarsi in una dimensione diversa.
E’ una periferia sociale, non urbanistica, fatta di distinzione di stili di vita.
Anche Napoli è come Palermo, così come altre città in cui la parte antica ha continuato a vivere senza interruzione, attraversando secoli di storia.
A Palermo, la differenza è ancora più evidente perchè, fra i vecchi palazzi che evocano nobiltà e i vicoli che evocano miseria, la popolazione convive in un contesto multietnico, dove la multietnicità non si esprime attraverso visi, colori della pelle e vestiti ma si esprime attraverso i gesti, i modi di dire, le parole di un dialetto che fu fenicio, greco e arabo. La multietnicità si esprime attraverso i cognomi francesi e spagnoli, attraverso gli stili architettonici inverosimilmente frammisti.
Il popolo palermitano probabilmente è presuntuoso e talvolta arrogante, ritenendo -spesso a torto- di essere superiore.
Al contempo è orgoglioso e generoso: alcuni scatti sono stati accompagnati da un invito a bere un bicchiere o a mangiare una “granfa” di polpo da parte del soggetto fotografato.
Molto spesso qualcuno si è improvvisato attore, protagonista di quel millesimo di secondo di luce che ha attraversato l’obiettivo. Tante altre volte, alla richiesta di una informazione rivolta a qualcuno che, seduto un tavolino, stava per iniziare a mangiare, ci siamo sentiti rispondere: “a favorire…”
E’ questo l’invito a condividere del popolo palermitano.