Ciavuru di Palermo mia, di Maruzza Dardanoni
Ogni quartiere ha i suoi odori.
Quelli che si annusano con gli occhi e tramortiscono. Capita di mattina presto sentire il sugo di pomodoro che non è uguale nelle diverse strade: c’è quello vastaso, con la cipollata rosolata che inebria le lenzuola stese; quello più dolce che la cipolla s’indora nell’acqua e non nell’olio.
Basilico, peperoncino, già il sapore del caffè appena bevuto diventa sgradevole e si vedono gli spaghetti ammorbidirsi, agguantati dal sugo.
Un’altra via e arriva il sapone, quello delle madri: pezzi bianchi, forse di marsiglia e butti la sigaretta perchè il fumo, che è un odore anche quello, buono assai, ma sfrigola le narici e serve un attimo d’aria azzurra, pulita, per essere immersi nel bianco.
Poi ci sono le strade dei bambini, dove le loro voci sono odori di arcobaleno e terra mischiati ai fiori e a giochi semplici.
Basta girare l’angolo e c’è odore di minestra fatta alla buona e di mani arrossate dal lavoro: di buone donne, di uomini che hanno calli alle mani e bontà nel cuore.
L’odore più forte che si mangia con gli occhi è quello del mare che è in ogni dove: tra le foglie e il cemento, nelle strade battute dallo scirocco e dalle persiane che sbattono.
Ogni odore ha un colore e un suono.
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Maruzza Dardanoni, Dall’altra parte della strada, edizioni Qanat 2020 – su cortesia dell’autrice. Diritti riservati.