LA SCUOLA TRA PROCLAMI E IMPROVVISAZIONI di Roberto Buscetta
Dalla fine dello scorso anno scolastico si parla e si straparla del rientro a scuola “in sicurezza” di studenti e personale scolastico.
Oltre agli immensi sforzi -fisici e mentali- di Dirigenti Scolastici, docenti, staff, équipe, commissioni, collegi e consigli ordinari e straordinari, si sono spese centinaia di migliaia di euro per l’acquisto di gel, mascherine (non commento qui la qualità e la tipologia delle mascherine acquistate), materiali per la sanificazione, affitto di locali per favorire il distanziamento, banchi monoposto, attrezzature informatiche, vari altri materiali di consumo, assunzione di personale aggiuntivo – sia docente sia ATA -, pagamenti di straordinari per i collaboratori, e mi fermo qui…
Ma, una volta iniziato il nuovo anno scolastico, l’impennata dei casi di contagio e dei conseguenti ricoveri e decessi ha vanificato gran parte di questi provvedimenti per la inevitabile decisione di chiudere gli istituti scolastici della scuola secondaria di secondo grado.
Si è pensato alle superiori e non ai gradi inferiori di istruzione per tante ragioni: gli alunni più piccoli hanno maggiori difficoltà nel gestire la DAD, si recano in scuole solitamente vicini alla loro abitazione e, nella maggior parte dei casi, vanno a scuola a piedi o sono accompagnati in macchina dai genitori; poi, solitamente fanno la ricreazione in classe o comunque all’interno degli edifici scolastici e dunque i loro spostamenti non comportano gli stessi rischi degli studenti superiori o universitari, i quali si muovono con i mezzi pubblici, riempiendoli come uova negli orari di punta, si spostano da diverse aree cittadine o extraurbane, si assembrano davanti alle scuole, fanno le ricreazioni all’esterno delle stesse, insomma spostano e avvicinano una quantità umana molto più grande rispetto agli alunni dei gradi inferiori d’istruzione.
Diverse posizioni pro-riapertura hanno continuato a recitare la frase che le scuole sono i posti più sicuri rispetto a tutti gli altri luoghi di ritrovo, il che è relativamente vero, ossia se si considerano esclusivamente le vicinanze tra gli alunni e tra essi e il personale scolastico all’interno degli edifici. Ma tale verità perde di senso e di efficacia se si allarga lo sguardo alle relazioni tra gli alunni, anche di diverse classi e di diverse scuole, e tra essi e i loro genitori e amici, appena al di là dei cancelli scolastici.
Inoltre, la famosa -ormai- distanza di almeno un metro (meglio due) tra gli alunni e tra essi e i docenti diventa solo un presupposto teorico, dato che nelle scuole dell’infanzia e primaria, così come anche nei casi di alunni diversabili in tutti i gradi d’insegnamento, l’aspetto prossemico non può mai rispettare i parametri stabiliti di distanziamento.
Se è, dunque, vero che il tasso di contagio all’interno degli edifici scolastici è stato molto ridotto (ma come se ne può essere certi?), è certamente vero che molti insegnanti sono stati contagiati a scuola o per il loro lavoro in presenza a scuola, e che moltissime classi sono state oggetto di chiusura temporanea per quarantena, a causa di alunni positivi, quasi sempre asintomatici, è vero, ma anche di fratelli e/o sorelle positive/i, di genitori con Covid sintomatico, nella stessa casa o in ospedale.
Tutto ciò mentre la curva dei contagi continuava a salire, e con essa il numero dei ricoveri in terapia intensiva e i decessi.
Questa è la situazione fino alla vigilia delle vacanze di Natale, che stanno per concludersi con un indice Rt in rialzo.
Ora, la Ministra dell’Istruzione, probabilmente per non vedere totalmente ed in tutta evidenza vanificati gli sforzi economici del Governo, insiste nel voler riaprire le scuole superiori in presenza, costi quel che costi, ripetendo la solita litania della scuola luogo sicuro, mentre i casi di contagio cominciano a risalire, ed ancora non si sono viste le conseguenze di un confusissimo periodo di teoriche “zone rosse” in cui s’è fatto tutto ciò che s’è voluto fare e in cui solo le persone dotate naturalmente e culturalmente di buonsenso hanno rispettato il più possibile i parametri di sicurezza.
Tradotto in fatti, succederà in pratica che i ragazzi e gli altri lavoratori della scuola che si sono comportati in modo responsabile, evitando di uscire e di incontrare persino i loro parenti stretti, si dovranno per forza di cose incontrare – ben che vada solo a scuola, ma purtroppo anche sui mezzi pubblici e in tutti gli spazi di ritrovo comune- con tutti i giovani e meno giovani che durante queste feste hanno fatto di tutto per scavalcare i divieti del decreto, inventandosi sotterfugi e ingegnosità oltre ogni immaginazione pur di organizzare e/o partecipare a cenoni, giocate, feste, festini, veglioni, compleanni e via elencando.
Sono certo che ciascuno di voi avrà sentito di espedienti per ritrovarsi tutti in casa della zia, o dell’amico, con pigiami e spazzolini nello zainetto per restare a dormire tutti lì, magari per terra o in auto, in garage (sentito con le mie orecchie!), così da evitare di uscire di notte dalla casa scelta per l’occasione di incontro.
Premesso tutto ciò, si è comunque stabilito che si tornerà a scuola in presenza e questa promessa va rispettata a qualunque costo. Persino se non è chiaro cosa si sia realmente fatto per la sicurezza al di fuori degli edifici scolastici, per esempio nel settore dei trasporti cittadini, persino se altri stati con un Rt inferiore al nostro stanno decidendo di rinviare la riapertura delle scuole o stanno addirittura pensando di chiuderle proprio adesso.
E persino se le vaccinazioni per il personale scolastico partiranno -se i tempi saranno rispettati, e a me sembra che si stia andando un tantino a rilento, e non solo per il basso numero delle dosi che arrivano- non prima di luglio, ovvero dopo la chiusura dell’anno scolastico.
Offro queste riflessioni a tutti voi, con un sincero augurio di un felice anno nuovo.
Roberto Buscetta