L’acchianata ru Piddirinu, di Riccardo Quadrio (parte II)
L’Acchianata (trd. l’atto dell’ “acchianare”; dal latino “ad planare”: salire, arrivare al piano) consiste nel recarsi a piedi fino al Santuario dedicato alla Santuzza, posto in cima a Monte Pellegrino; il pellegrinaggio si sviluppa in tre momenti topici: la salita, la sosta notturna attorno al Santuario e la partecipazione alla cerimonia religiosa.
La via che porta all’ascesi è, tradizionalmente, “la scala vecchia”, che da largo Antonio Sellerio (dove c’è la fontana della Fiera, per intenderci) conduce fino alla grotta; costruita fra il 1638 e il 1650,
si sviluppa cinicamente lungo un percorso di 3,6 km costituito da ventitré ripide rampe, pavimentate con basole di pietra.
Della immane sofferenza derivante da tale titanica prova mi parlò, anni or sono, il mio amico Pippo, che, tornato a casa dopo aver superato il colloquio del concorso pubblico per titoli ed esami a n. 306 posti di ingegnere direttore, apprese che la di lui mamma aveva fatto il seguente voto: “Santuzza, se mi fai la grazia, Pippo se ne acchiana a piedi scalzi fino al Santuario, si fa gli ultimi scaluna sulle ginocchia, e ti porta il mio saluto!”
Potrei scherzosamente narrare di uno o dei più tanti episodi di quel percorso lastricato di insidie descritto dal mio amico, con scenari che vanno dall’inerpicarsi dei cortei di fedeli che, gioiosamente riunitisi al sopraccitato largo Antonio Sellerio, intraprendono la scalata intonando improvvidamente cori ad alta voce, per poi, già arrivati fine della terza rampa, decidere di continuare l’erto percorso raccogliendosi in un più religioso e prudente silenzio, a tutela delle proprie coronarie; o della cera lasciata cadere dalle candele impugnate dai devoti in processione (le cui mani, dalla settima rampa in poi, manifestano ben poca fermezza), che rende scivoloso il basolato su cui metteranno piede i malcapitati che via via sopraggiungono, che rischiano l’imprevisto: “Torna a Largo Sellerio, direttamente, e senza passare dal Via!”; o ancora, di coloro che, giunti in prossimità della quattordicesima rampa (mi pare di ricordare), nell’ammirare alla propria destra lo splendore del Golfo di Palermo, malauguratamente posano l’occhio sui sottostanti bagliori provenienti dal Cimitero di Santa Maria dei Rotoli… a quella cupa allegorica visione, la Fede – quasi incrollabile fino a pochi secondi prima – inesorabilmente comincia a vacillare…
Preferisco invece scrivere di ciò che accadde al mio amico, quando, quasi al termine della sua Acchianata, si concesse due minuti di riposo, assittandosi sui gradini della scala che conduce al Santuario; riflettendo sul fatto che non fumava da quel remoto momento in cui, a largo Sellerio, ebbe inizio la tortura[1], si accese una sigaretta…
Dopo pochi istanti, un picciotto dai tratti indiani si accomodò vicino a Pippo, che, istintivamente, gli porse il pacchetto e l’accendino…’ddu picciotto, ringraziando educatamente, disse che aveva smesso di fumare anni prima, a seguito di un voto fatto a Santa Rosalia, che gli fece la grazia di farlo guarire da una polmonite, e che di lì a poco avrebbe percorso in ginocchio la scala dove stavano seduti per rendere omaggio alla Santuzza…
Lanciandosi in un fiume di parole, spiega a un Pippo frastornato (“Ma cu mi ci puirtò a offriricci a sigaretta a chistu!?”) di appartenere alla comunità Tamil, e che la comunità Tamil palermitana conta quasi 8.000 persone, tutte persone via via giunte in città per sfuggire alla guerra civile che segnò per quasi trent’anni lo Sry Lanka, e che i Tamil palermitani sono una comunità fra le più numerose al mondo (NDR pare la terza; sicuramente la prima in Italia), e che il Santuario di “Monti Pelegrino” ricorda loro il Santuario di Kataragam, dove buddisti, indù, musulmani si riuniscono in preghiera, e che i palermitani gridano ma sono bravi, e che la Santuzzaha aiutato una donna Tamil che saliva al santuario in ginocchio piangendo per la sua bambina che era entrata in coma dopo essere caduta dal balcone del secondo piano, ma che poi si è svegliata ed è diventata una bellissima sposa e mamma, e che c’era una coppia di giovani sposi Tamil che non poteva avere bambini ma che, per grazia ricevuta dalla sempre amatissima Rosalia, poi ne hanno avuti tre…
Ricordo che qualcuno, tempo addietro, ebbe provocatoriamente a dire che “a Palermo non ci sono migranti, ci sono solo Palermitani”: sono certo che la Santuzza la pensa esattamente così…
[1] la scelta del lemma “tortura” non è casuale: il supplizio dell’Acchianata è così proverbialmente gravoso tanto da aver indotto il palermitano ad ideare una specie di tortura che porta lo stesso nome; consiste nel premere il pollice della mano destra sulla basetta della vittima – immobilizzandone, nel contempo, la testa con la mano sinistra, a vanificare qualunque tentativo di evasione – per poi risalire contropelo, lentamente ed esercitando una pressione costante, facendo sì che, secondo il principio di Joule sull’equivalenza tra calore e lavoro meccanico, la regione temporale del malcapitato si surriscaldi insopportabilmente a causa dell’attrito: è la famigerata tortura della Acchianata di Monte Pellegrino.
Riccardo Quadrio