Cosa sarebbe stata la nostra gioventù senza Mark Knopfler? di marcello mussolin

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La storia cominciava così:

C’erano una volta quattro amici un po’ , beh, un po’…, che quando uscivano con la 127 azzurro metallizzato del papà di uno di loro, usavano tenere gli sportelli aperti (si, gli sportelli, non i finestrini) perché le casse dello stereo così si sentivano meglio. A tutto volume, altro che i tasci di oggi. Cantando a squarciagola. 

Quando l’ho scritta su Facebook stavo sentendo “Tunnel of Love”, una canzone dei Dire Straits del 1980 (Making Movies il disco, per chi ancora se ne rammenta) e mi sono perso nei ricordi.

Making Movies era, a nostro giudizio, il più bell’album del gruppo. Iniziava con quella meraviglia di Romeo and Juliet, per poi esplodere – appunto – con Tunnel of Love, un brano di quelli che non dimentichi più.

Cosa sarebbe stata la nostra gioventù senza Mark Knopfler ? Non lo so, ma certo è che ci piaceva assai, perché … “Knopfler ha la straordinaria capacità di far emettere alla sua Schecter Custom Stratocaster dei suoni che paiono prodotti dagli angeli il sabato sera, quando sono esausti per il fatto di essere stati buoni tutta la settimana e sentono il bisogno di una birra forte”
(era Douglas Adams, quello della “Guida Galattica per Autostoppisti” in Addio, e grazie per tutto il pesce, 1984)

Ci piaceva assai, dicevamo. Aprivamo gli sportelli della 127 – incoscienti ! – e cantavamo. Tum, tum, tum … Check it out.

In effetti il nostro gruppo era composto da più quattro persone, diciamo sei o sette. Il nucleo “centrale” eravamo però noi studenti di giurisprudenza, ma con noi c’erano medicina, lettere, chimica, biologia, chi più ne ha più ne metta.

Spesso studiavamo tutti insieme, e tra diritto civile ed anatomia patologica c’era una bella gara.  Penso che in quel periodo ho visitato TUTTE le facoltà di Palermo. Dipendeva dagli amici, dalle cotte, dalla politica.

Ogni tanto squillava il telefono: Carpe, che non era un invito a mangiare pesce ma, per noi di giurisprudenza che, oltretutto, venivamo dal classico, era un chiaro invito al “Carpe Diem”, cogli l’attimo. Prima de “L’Attimo fuggente”, tra l’altro. Tutti sul motorino e fuga a Mondello, a Sferracavallo o come quella volta che avevo l’altra macchina di papà, quella bella, quella grossa, quella con cui andammo “a Mondello passando da Castellammare del Golfo”.

Ma il gruppo della 127 di cui parlo è ben identificato. Due noi ragazzi, due ragazze. Bellissime. Una bionda, l’altra bruna.

Chiamavamo la macchina “Ducento”, dalle tre cifre finali della targa, 200 appunto.

Eravamo AMICI. La vita, gli amori, la frequentazione di altre persone non ci avevano ancora diviso. Vivevamo in simbiosi.

Ci sto provando da un’ora, ma non riesco a descrivere cosa voglia dire essere amici in quel periodo, con quelle teste, con i nostri vent’anni, con quei genitori ancora memori della guerra, che ricordavano la fame, le bombe, le privazioni e che stavano provando a ricostruire una Palermo ancora molto provinciale, ben lontana dalla capitale variopinta dei giorni nostri.

Formidabili quegli anni, scriveva Mario Capanna qualche anno fa, parlando di altro periodo. Mi piace immaginarlo riferito ai “nostri” anni. Formidabili sì.

Chissà perché ricordo Palermo in bianco e nero.

Sarà forse perché venivamo da una delle pagine più buie della nostra storia, quei terribili anni 70 che sono passati alla storia come “Gli anni di piombo”, o forse perché vedevamo sorgere palazzi su palazzi nelle zone dove una volta eravamo soliti giocare a pallone o correre in bicicletta, tragica eredità del sacco di Palermo degli anni ’60.

Sarà perché già nasceva la passione per la fotografia, che allora era rigorosamente in bianco e nero, con lo sviluppo, gli acidi, la camera oscura nel bagnetto…

Sarà perché stavamo entrando in altri anni, quelli della mafia – eravamo insieme, noi amici, quando ci dissero che avevano assassinato Pio La Torre, lasciandoci nello sgomento – ma anche quelli del rampantismo, della scalata sociale, degli yuppies.

Non eravamo figli di papà, ma neanche sotto la soglia di povertà. Diciamo che, ragazzi, vivevamo di paghetta. Nessuna idea di cosa potessero essere le “apericene”, il bar ci serviva solo per comprare la birra Messina, che è siciliana e costa poco, la pizza la compravamo da Peppi’s e la mangiavamo in strada, morti di freddo, poggiando il cartone della familiare sul tettuccio della 127.

Passavamo i sabati a giocare. Monopoli, Risiko: il primo, quello che bisognava conquistare il mondo e, quindi, non finiva mai.

Sentivamo la musica. Tanta musica.

Zeppelin, Crosby, Stills, Nash & Young, Pink Floyd, Genesis, Jefferson… The boxer di Simon & Garfunkel, The road di Jackson Browne.

Poi arrivò Salvo con il suo Southern Rock. E fu un tripudio di Marshall Tucker Band, Allman Brothers. I mitici Lynyrd Skynyrd con Free Bird che non finiva mai e Sweet Home Alabama che non era ancora diventata colonna sonora di moltissimi film.

E naturalmente Tunnel of Love. A tutto volume, con gli sportelli aperti.

Ok, adesso la storia la conoscete anche voi.

Marcello

Ciao Claudia. Dedicata a te.

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