Sicilië, pittura fiamminga, Fondazione Federico II

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

“Sicilië, pittura fiamminga” è il titolo della mostra, promossa dalla Fondazione Federico II e dall’assessorato regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana (curatori Vincenzo Abbate, Gaetano Bongiovanni e Maddalena De Luca), che ha l’unicità di presentare, per la prima volta, al grande pubblico, una significativa raccolta di dipinti fiamminghi presenti nelle collezioni private e pubbliche siciliane.

Un patrimonio artistico che riguarda il periodo cronologico che va dal Quattrocento al Seicento. Il percorso espositivo, consistente in cinquantadue opere e allestito nelle rinnovate Sale Duca di Montalto di Palazzo Reale dal 28 marzo al 28 maggio, si sviluppa attraverso due nuclei tematici, strettamente legati fra loro: da un lato le opere presenti in Sicilia riconducibili al collezionismo e alla committenza artistica; dall’altro gli artisti di origine fiamminga e olandese, pienamente attivi e inseriti nel tessuto storico-sociale a partire dagli anni centrali del Cinquecento.

Tra le opere in mostra spicca l’opera più famosa di Jean Gossart, detto Mabuse, che è il trittico di Malvagna; opera miniaturista dove vengono rappresentate una Madonna col bambino tra angeli, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Dorotea, mentre sul retro del pannello si trova lo stemma della famiglia dei Lanza; la Deposizione di Jan Provoost, invece, rappresenta, in pieno uno degli esempi più significativi del passaggio dal Gotico al Rinascimento dei Paesi Bassi; mentre della collezione Chiaramonte Bordonaro sarà esposta la Madonna con Bambino di Anton van Dyck, l’allievo di Rubens, che in quest’opera consolida la sua emancipazione dal maestro; altra opera di van Dyck è la Crocifissione (collezione privata Palazzo Alliata di Villafranca) dove il genere da lui coniato si presenta, come evoluzione ed elaborazione personale della maniera di Rubens,

e riscosse fin dall’inizio un gran successo per quell’insieme di drammatica verosimiglianza che coglieva il Cristo nell’attimo esatto dello spirare; di alto valore artistico è la Circoncisione di Simone de Wobreck, un olio su tavola dove sono evidenti le tipiche inclinazioni patetico-devozionali del tardo manierismo e il decorativismo  dello schema compositivo; non meno significativa è la presenza dell’olandese Mattia Stomer con l’opera La morte di Catone contraddistinta da una plasticità voluminosa dell’incarnato e un forte impasto cromatico.

Ma, oltre a quelle citate, non bisogna cadere nell’errore che le restanti opere, esposte a Palazzo Reale, siano di minore rilevanza sul piano artistico e storico.

È indubbio che tra la cultura artistica fiamminga e quella italiana ci sia stato un incontro proficuo e considerevole. I primi, infatti, hanno appreso dagli italiani la prospettiva e la rappresentazione dello spazio, mentre gli italiani hanno appreso dai fiamminghi la pittura ad olio, la posa di tre quarti e l’uso delle velature. Le opere fiamminghe più antiche, più di tutto tavolette di piccole e medie dimensioni, a destinazione privata e spesso con finalità devozionale, giungono in Sicilia direttamente dalle Fiandre, ripercorrendo le rotte dei principali scali mediterranei dei traffici e del commercio, come Genova e Napoli, definendo in modo inequivocabile la centralità della nostra terra nel sistema economico dell’Europa d’Ancien Régime.

“Sicilië, pittura fiamminga” ha, però, una protagonista assoluta, un’opera che si svela al pubblico, dopo un silenzio durato trentadue anni: Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto. La martire è raffigurata su una tavoletta, in legno di quercia, e faceva parte insieme all’altra tavoletta di San Rocco di un trittico da devozione. L’autore è un pittore ignoto fiammingo per un’ovvia ragione: la parte centrale del trittico risulta dispersa ed è, quindi, impossibile risalire con certezza alla mano. Presentata nell’iconografia più semplice e tradizionale la Santa tiene in mano un libro che rimanda alla scienza da lei divulgata, la ruota spezzata ed uncinata al suo martirio mentre il busto dell’imperatore Massimino ai suoi piedi simboleggia l’eresia sconfitta. Entrambe le tavole, probabilmente, furono donate dalla famiglia dei Luna, signori di Bivona alla chiesa di San Giacomo, annessa al Convento dei Cappuccini. Poi, successivamente, seppur correttamente conservate, sono state chiuse in una cassa per trentadue anni nel convento palermitano. Ed è proprio a questa riscoperta che si legano, a stretto filo, due eventi di ampio respiro culturale, artistico e storico: lo svelamento della tavoletta di Santa Caterina d’Alessandria e la fruizione di un bene della città qual è il Monastero di Santa Caterina, a Piazza Bellini.

Non è una scelta casuale questa mostra dedicata alla pittura fiamminga presente in Sicilia. La risposta sta tutta nell’utilizzo che i pittori delle Fiandre facevano dei colori ad olio, che conferivano al dipinto una nitidezza estrema e una resa ottimale della luce atmosferica; quasi a rimandare agli ambienti e ai paesaggi italiani e siciliani di quello scorcio del Seicento. Una tecnica che, comunque, non è un’invenzione dei pittori delle Fiandre ma a loro spetta il merito di averla reintrodotta ed attualizzata in seguito. Una concezione pittorica  che ebbe notevole riscontro sia in ambito religioso che aristocratico. Proprio per le dimensioni assai ridotte delle opere, come le singole tavole o i trittici, si registra un alto numero di queste introdotte in Sicilia, e molte di esse restano ancora tra le suppellettili di famiglie nobili, trasmessi di padre in figlio. Dal terzo decennio del Cinquecento gli artisti fiamminghi incontrano il Rinascimento italiano e i pittori del primo manierismo maturano un nuovo monumentalismo e una ricerca compositiva di grande equilibrio. Dal primo Seicento, poi, la nuova ventata del naturalismo caravaggesco segna anche in Sicilia, con Rubens, Van Dyck, Honthorst e Stomer, una nuova centralità della pittura fiammingo-olandese. La presenza in Sicilia di artisti venuti dalle Fiandre non sembra, stando alle analisi più recenti, avere avuto un’influenza sulla pittura siciliana tale quanto quella del continente per l’innegabile affinità etnica. L’alto numero, quindi, di dipinti e opere fiamminghe presenti in Sicilia deve considerarsi una merce di lusso, molto ricercata in quei due secoli, ma che rimase estranea al movimento artistico siciliano, se non per uno scambio di elementi puramente formali.

ORARI

Lunedì/venerdì dalle ore 8.15 alle ore 17.40

(ultimo biglietto ore 17,00 – last ticket 5.00 p.m.)

Domenica e festivi dalle ore 8.15 alle ore 13.00

(ultimo biglietto ore 12,15 – last ticket 12.15 a.m.)

Chiusura straordinaria alle ore 21.00 (ultimo ingresso ore 20.00) nei giorni 22,23,24,25,28,29,30 Aprile – 1° Maggio e 2 e 3 Giugno 2018

(informazioni e fotografie dalla rassegna stampa istituzionale della Fondazione )

Federico II

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