Siamo stati da Moltivolti. E ve lo raccontiamo.

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Conoscevo Johnny (Zinna) perché nelle tante volte che ero andato a Moltivolti il mio interlocutore era sempre stato lui. E “Gambia”, il cui sorriso contagioso ti mette sempre di buon umore.

Andavo per tanti motivi: perché come “spazio” coworking puoi organizzare ‘aggratis’ le riunioni, perché c’e sempre qualcuno che conosci, perché fanno buona musica, perché si mangia bene, perché fanno la moussaka che come cibo è seconda solo alla parmigiana…

Insomma, andavo da Moltivolti senza conoscerne la storia. O, almeno, intuendola.

Una sera, con Antonella, siamo andati a berci una birra (io) ed una tisana (Anto) ed abbiamo incontrato Claudio (Arestivo) che ci ha sopportati per un’oretta.

Saranno forse mille le persone che gli hanno domandato sempre le stesse cose, e crediamo che non ne possa più, ma anche in questo caso si è messo paziente e ci ha raccontato….

Chi siamo e perché Moltivolti

“…in verità siamo un gruppo di sei soci ufficiali ma complessivamente 14 persone come gruppo iniziale… eravamo un gruppo di amici e compagni di viaggi e di tante altre cose  che ragionavano e lavoravano su una serie di tematiche, legate soprattutto al mondo del terzo settore: c’è chi come Johnny veniva da una esperienza di cooperazione internazionale, abbastanza lunga: faceva inoltre il coordinatore del centro Astalli  (*) quindi con i rifugiati; c’è chi come me viene da un mondo legato al tema della migrazione  ma orientato più alla prima infanzia: a Palermo io avevo fatto per cinque anni il coordinatore  di Ubuntu, (associazione di volontariato che gestisce uno spazio multi-etnico per i bambini di Palermo).

Insomma, ci sono una serie di esperienze che si sono incrociate, tanto che ci siamo detti ad un certo punto: come possiamo tradurre questi interessi all’interno di uno spazio, di un “contenitore” che in qualche modo ci dia una sorta di dignità “anche” lavorativa… cioè come traduciamo in lavoro i nostri interessi, e  riusciamo anche in qualche modo a veicolarvi tutta un’altra serie di temi che per noi sono interessanti?

Da qui l’idea di un coworking che potesse mettere insieme tutti i nostri “spazi” di lavoro quotidiani,

Attenzione, l’idea di interagire, di mettere insieme competenze, conoscenze, non è – o non soltanto – una logica “buonista.

In tutto quello che facciamo cerchiamo di capire cosa  ci conviene fare e cosa ha senso fare, al di là della logica di “cosa è giusto e cosa è sbagliato”.

L’idea della condivisione degli spazi per il coworking  nasce dal fatto che piccole associazioni sono spesso molto frammentate, non hanno gli strumenti per proporsi  al mercato, mentre l’unione offre la possibilità di amplificarne la voce, gli eventi.

Nasce con l’idea anche di provare a dare quella dignità lavorativa che spesso manca perché mancano gli strumenti economici.  Quante piccole realtà soccombono perché, relegate magari in un garage di periferia, non hanno i soldi per pagarsi una sede dignitosa?

Ma questa idea del coworking appare in qualche modo “romantica”, mancava ancora una solida base economica per poter realizzare tutto questo: come si sostiene?

Da lì è nata l’idea del ristorante…


Il ristorante

… il cibo, così come la ceres, o il tè, attrae e unisce. Quante volte capita che ci incontriamo per parlare di lavoro? La birra, il caffè sono un mezzo per arrivare al fine, spesso ci permettono di incontrarci superando una serie di problemi.

Quindi, in qualche modo, abbiamo chiuso il cerchio: quante riunioni facevamo mensilmente con amici, colleghi, persone con i nostri stessi interessi?  Quanta gente del nostro circuito organizza riunioni iniziative aveva ed ha bisogno di luoghi dove incontrarsi? Quante volte abbiamo detto: sediamoci a prendere un caffè e ne parliamo?

E quindi perché non fare il caffè, o magari proporre la birra a chi utilizza gli spazi del coworking? Qui si incontrano varie associazioni, da alcuni gruppi di Amnesty International (nota mia:è anche per questo che ho conosciuto moltivolti) alla associazione donne di Benin City e tante altre, legate al mondo della cooperazione, dell’assistenza, dei migranti…

Si incontrano qui, organizzano le loro riunioni, noi abbiamo l’opportunità di dargli gratuitamente gli spazi.

Si fanno le riunioni, si preparano i caffè. E magari, se la riunione finisce tardi, perché non cenare tutti insieme, meglio ancora al tavolo sociale, che ci permette di familiarizzare con gli altri?

Alla fine è un circolo virtuoso, magari un po’ banale ma sicuramente funzionante: più il coworking “gira”, più la sala riunioni viene impegnata, più funziona il ristorante. Più funziona il ristorante, più è possibile supportare i coworkers concendendo gratuitamente gli spazi per chi vuole incontrarsi, per chi vuole lavorare..

L’esperienza di cooperazione, il lavoro con i migranti, il fatto che due dei soci provengano dallo Zambia e dal Senegal ha inevitabilmente orientato la scelta verso una cucina multietnica. Dalla moussaka, appunto, ai felafel, dal cous-cous al brik, al mafè.

“…Come ti dicevo grazie al cibo questo progetto si è potuto sviluppare bene, proprio perché è ciò che unisce. Ma la memoria del cibo è anche un tesoro che molti migranti si portano dietro: ad esempio, noi abbiamo un ragazzo iracheno in cucina e uno dei primi strumenti di interazione con il resto fu appunto… “ragazzi   io in iraq sapevo fare un piatto buonissimo lo posso fare qua?

Attraverso il cibo si recuperano quelle identità personali piuttosto che l’anonimato in cui spesso questi ragazzi sono costretti a vivere …”

Profumi, sapori. Magari conditi da buona musica. World ovviamente.

Cavolo se si mangia bene da Moltivolti !

“… adesso che le cose vanno ancora meglio, – aggiunge Claudio – riusciamo anche a sostenere delle piccole iniziative o aiutare alcune delle associazioni che sono qui … non si parla di grandi progetti, però sono piccole cose che a noi danno anche soddisfazioni: magari devono fare attività coi bambini e noi gli compriamo i materiali. Oppure il festival degli artisti di strada, Ballarò Buskers…”

 

Ecco: Ballarò, per esempio:

“…l’abbiamo fatta a Ballarò proprio perchè non potevamo farla altrove: un miscuglio di etnie incredibile, una serie di associazioni che come noi si occupano di integrazione, un luogo di incontro di culture, di conoscenze. Strade e piazze dove convivono persone di tutte le estrazioni, dove senti parlare il siciliano e l’arabo, il francese delle ex colonie e dialetti africani.

Nessuno di noi è di Ballarò quindi vi posso lasciare immaginare all’inizio tutta una serie di paure … e ora (hai un bilancio di paure? gli chiedo) abbiamo smontato molto una serie di stereotipi e pregiudizi. Sai quante persone all’inizio non venivano perché dicevano che avevano paura  di venire a Ballarò di sera? Guarda adesso….

Multietnicità(beh, sì, l’ho cercata, si dice proprio così)

Che Moltivolti sia il “simbolo” palermitano di integrazione non ho certo bisogno io di dirlo. Basta entrarci. Oltretutto dopo un paio di minuti ti senti a casa. Grande atmosfera.

Ce la spiega Claudio:

“…Questo dell’incontro tra culture è un tema fondante … noi nasciamo come gruppo di 14 persone di 8 paesi diversi: da noi ci sono anche migranti che hanno investito come soci ed è una cosa particolare rispetto ad altre esperienze in cui gli stranieri, i migranti sono solamente dipendenti, nel migliore dei casi. E questo ci permette di superare limiti e confini: Youssu, che è senegalese, in qualità di proprietario rompe in qualche modo la barriera della diffidenza.

I membri della comunità senegalese – ad esempio – non sono portati a frequentare locali se non di senegalesi e per senegalesi. Se un ragazzo di questa comunità entra da Moltivolti, incontra appunto Youssu che è proprietario e si sente a casa sua. E questa impressione è comune alle altre comunità: ad esempio, abbiamo ospitato un matrimonio del Bangladesh con 150 persone e queste sono cose che ci danno felicità. Tutto questo è avvenuto in modo naturale, non è neanche lì una cosa cercata ….

E pensa alla casualità delle cose: l’altro giorno ragionavamo tra di noi, scherzando, che l’80% di noi, cioè del gruppo “fondante” è composto da coppie miste: io sono il più occidentalizzato perché la mia compagna è spagnola ma la moglie di Johnny, ad esempio, è dello Zambia, Youssu  è sposato con Roberta, Gambia è gambiana e suo marito senegalese siamo tutti … sembra fatto apposta…”

I Viaggi

Una delle tante iniziative dei ragazzi di Moltivolti è legata a quello che loro stessi chiamano “Turismo Responsabile”. Dimenticate i viaggi organizzati, le suite di lusso e i giri nelle cattedrali del turismo.

Questa è integrazione fra popoli, questa è vita:

“…L’idea di organizzare viaggi già esisteva, lo faceva Johnny di suo e l’ha portata qui, ma qui ha avuto uno sviluppo legato al nostro concetto di integrazione: praticamente l’idea quella di andare nei paesi di origine di alcuni dei ragazzi che vivono qui e – cambiando totalmente la prospettiva del viaggio da “tour operator” – farsi accompagnare da loro in qualità di guide e “padroni di casa”, stravolgendo l’idea per cui il migrante da persona da aiutare – per noi occidentali –  diventa un appiglio, un soccorso …

E’ molto bello, hai il “privilegio” di vedere una persona che qui vive in un modo, ha una identità, di un certo tipo, che hai identificato in un cliché, e che all’improvviso appare come tutt’altra persona perché torna ad essere ciò che è… sei tu che entri nel SUO mondo di reti sociali, di contatti, di sicurezza mentre tu perdi tutti i tuoi riferimenti.

Ci sono – credo – nel settore del turismo altre esperienze simili, però io penso che proprio nella specificità con cui lo fa Johnny c’è solo lui: noi non lo chiamiamo neanche turismo.

Vai per capire, non vai nei grandi hotel  ma provi cosa sia vivere la vita reale, non finisci nel luogo del turista …. in generale ti dico anche serve anche a creare relazioni che riporti con te a casa.

Il risultato è che il turista “medio” che identificava Youssu in termini di “categoria” e stereotipi, quando torna lo osserva con altro occhio: diciamo che è un viaggio che augurerei ai peggiori razzisti d’Italia. Sarebbe una cura: immergersi nella loro vita per capire….”

Ho finito questo lungo colloquio con Claudio. Forse è stato diverso dai nostri soliti racconti palermitani, ma ne valeva la pena.

Ricapitolando: andateci.

Ah: che cosa non vi ho detto:

 

–       Perché si chiama Moltivolti. Bè, mica ci vuole tanto ad intuirlo.

–       Che i ragazzi sono tutti simpatici, ed anche questo non si fa tanta fatica ad intuirlo.

–       Che ovviamente fa parte di Libera.

–       Che ovviamente fa parte di Addiopizzo.

–       Che la “sezione” del turismo responsabile si chiama Moltivolti Altrove ma che tanto bisognerebbe provare piuttosto che conoscerne il nome e che prima o poi ci andrò “macari” io.

–       Che quando Gambia viene a prendere le ordinazioni ti si apre il cuore a vedere il suo sorriso.

–       Che si mangia benissimo ve l’ho detto?

Ciao

 

*) Il Centro Astalli Palermo è un’associazione di volontariato che fa parte della rete territoriale del Jesuit Refugee Service in Italia: lo spirito che lo anima è quello della difesa dei diritti, dell’integrazione e dell’inclusione di immigrati extracomunitari, rifugiati e richiedenti asilo.

Nasce del 2003 come scuola di italiano condotta da un gruppo di volontari della Comunità di Vita Cristiana presso il CEI – Centro Educativo Ignaziano.

Nel 2006 si inaugura la sede di Piazza SS 40 Martiri, nello storico quartiere di Ballarò dove, con l’aiuto di persone che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze a titolo di assoluta gratuità, si offrono agli utenti servizi di prima e seconda accoglienza.

Moltivolti

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